Gli sproloqui di un comico di Antonio ANZANI


Non è che non apprezzi gli attori, anzi ve ne sono, fra i contemporanei, dei bravissimi degni
dei grandi del passato, (cito Gigi Proietti per tutti). Né voglio richiamare in vita il Diritto
Romano che annoverava gli attori fra gli infames, privandoli, in conseguenza, dei diritti
politici e limitandone la capacità giuridica.
L’Editto del Pretore romano elenca i casi di infamia, (mancanza di onorabilità personale).
Confortante la diminuzione della capacità giuridica in campo processuale, l’esclusione da
magistratura e cariche politiche: gli invertiti, i lenoni, i gladiatori, gli attori, i militari espulsi
dall’esercito per ignominia, i condannati per delitti gravi o per calunnia, per furto, rapina,
frode, ingiuria, per delitti dolosi, per concussione e peculato, le prevaricazioni con abuso
della carica magistraturale.

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Per mia scelta non scrivo di argomenti politici, quindi quanto sto per dire è un’osservazione
di costume. Più precisamente di malcostume, non tanto del Comico che si improvvisa
politico, quanto di milioni di italiani che ne ascoltano il verbo e, quel che è peggio votano
in conseguenza.
Chi ha una certa età, come me, e i pochi che hanno studiato un po’ di storia, sanno che nel
1946; risorti i vecchi Partiti Politici chiusi dal Fascismo, ne nacquero di nuovi.
Fra gli altri, un Giornalista di buon fiuto ed anche commediografo di successo tra piccolo
borghese, Guglielmo Giannini, fondò il Movimento dell’Uomo Qualunque, con proprio
giornale la cui testata ne recava il simbolo: un uomo steso sull’addome compresso da un
torchio (tipo quello dei vecchi frantoi col fulcro postato nel punto… delicato.
Ebbe un notevole successo e mandò all’Assemblea Costituente ben 30 deputati ma, come
detto Giannini aveva fiuto, e, in pochissimi anni, prima di essere annullato si cancellò da
solo e tornò al suo mestiere.
Aveva, cioè, capito che sfruttare il mugugno della gente, si po’ per un poco, non di più.
Il comico di oggi, invece, no.
Le due funzioni, comico e politico, in realtà sono, per lui un unico mestiere; in conseguenza
parla, oggi, da “padre politico” come parlava nel teatro e poi in televisione, sputando, con

la sua voce chioccia e sgradevole, contro tutti malevolenze che mandavano in deliquio – lo
ricordi bene a Petrizzi – alcuni scapestrati non ancora (ma poi si) integratisi nel sistema.
Non so, né chiedo loro se facciano parte dei milioni dei votanti per il movimento politico
del Nostro, o se costoro siano – ut opinor – un’altra generazioni di italiani sempre,
comunque, disperatamente avvezzi ad aggrapparsi al nuovo quale che sia.
E lo credo perché ciò non sarebbe in controtendenza: gli italiani furono, in maggioranza e
per tante generazioni: Crispini, Giolittiani, Mussoliniani, Degasperiani, Nenni-Togliattiani,
Craxiani, Berlusconiani e via discorrendo, ma soprattutto disertori delle urne per
vocazione, tendenza, ma anche per sconforto; questi ultimi hanno tutta la mia solidarietà,
perché oggi il concetto di infamia non ha più (eppure la ebbe per secoli) le connotazioni
giuridiche romanistiche, ma un significato più modesto e bonario.
Gli infames non sono gli attori ma tanti altri: tutti quelli che presumono potersi prescindere
dalle competenze ritenendo che Scienze delle Finanze, Diritto Costituzionale e quant’altro
non proceda da solidi studi universitari ma dall’investitura popolare intesa quasi discesa
dallo Spirito Santo sulle teste degli investiti per governare.