È già noto ai lettori la mia viscerale antipatia per l’economia e gli economisti, maturata generazionalmente negli anni dell’università, nella quale ci trovavamo nei piani di studio, allora obbligatori, della facoltà di giurisprudenza, economia politica e scienze delle finanze, materia del tutto estranee alla nostra mentalità di giuristi in formazione.
All’antipatia viscerale si aggiungono, ora per un motivo ora per un altro, veri e propri motivi di dissenso rispetto a tesi presentate con sicumera scientifica mentre sono spesso solo opinioni peregrine di una categoria frustrata dal fatto che la politica – ora nel giusto ora sbagliando – persegue finalità di governo ben più ampie delle teorizzazioni degli economisti.
L’occasione a questo scritto mi viene offerta da un quotidiano assai diffuso a livello nazionale che sul problema idrico che affligge Roma (e tutta l’Italia), riporta l’equazione, assai singolare, del prof. Antonio Massarutto, professore di economia pubblica all’Università di Udine.
Non mi occupo del titolo, singolare, “sette miti da rovesciare sull’emergenza idrica”, essedo noto che i titoli vengono dati dalle redazioni dei giornali, non dagli autori, ma proprio quel titolo alimenta il sospetto che la “faccenda” dell’acqua a Roma nasconda una mandragola politica ai danni del sindaco Raggi, della quale nulla mi importa, ovviamente, ma di Roma sì.
Il Professore afferma che è vero che in Italia si spreca tanta acqua, ma ne abbiamo tanta.
E la siccità – che non è solo di quest’anno, ma è endemica (rileggasi il Gattopardo”: il grande lutto dell’estate siciliana cui era mancata la forza di aspettare la pioggia”) -, quest’anno pare abbia raggiunto livelli di pericolosità tali da dover razionare l’acqua, oggi a Roma che, pure, ai tempi dell’imperatore Traiano, assicurava mille litri al giorno pro capite.
“Ma – dice il Professore non per questo investire miliardi in grandi opere infrastrutturali è prioritario.” E fa un esempio poco calzante: la neve a Fiumicino che ha creato problemi allo Scalo, è stato un fenomeno eccezionale, una criticità rara, per cui varrebbe la pena investire in attrezzature, come per gli scali aerei dove la neve è di casa.
Ma l’acqua, no, illustre Professore. Per la siccità la questione non è per nulla simile, come Lei afferma.
“Possiamo investire miliardi e ridurre le perdite di rete, ma l’aumento del costo dell’acqua che ne deriverebbe sarebbe giustificato dalla necessità di affrontare una siccità ogni dieci anni? Meglio compensare i danni al reddito degli agricoltori con le assicurazioni”. E no: anzitutto non è vero che la siccità ha una cadenza decennale; essa è cronica, con alcune punte massime; e, poi, l’assicurazione trasforma in indennità pecuniaria un danno materiale che resta; se valesse questa tesi, considero, per i danni da incidenti stradali, l’indennizzo ad un giovane infortunato ad una gamba, gli ridarà mai l’integrità fisica?
Se è vero – ed è vero – che le reti idriche italiane sono un colabrodo, sarebbe una delle maggiori priorità ripararle o sostituirle tutte fatto più radicale e serio del cambio degli sciacquoni dei water e simili, per il miglioramento della qualità della vita, per migliorare l’agricoltura in ginocchio.
Penso con ammirazione allo Stato d’Israele – che ho visitato molti anni fa, compresi alcuni Kibbutz, già allora fattorie modelli agricoli modernissime – che, oggi, ha, per sostenere la sua agricoltura, creato due giganteschi dissalatori dell’acqua del mare per irrigare i campi; e noi acquistiamo da Israele olio, agrumi e simili, quando di acqua marina da dissalare ne avremmo assai più di loro.
P.S. La Mandragola ha sempre effetto, l’acqua del lago di Bracciano, sia pure in quantità ridotta, è stata ridata è il razionamento a Roma, scongiurato.
Naturalmente è stato disposto che l’assicurazione del Prof. non risolve e che, invece, vanno riparati i tubi sforacchiati.
ANTONIO ANZANI